IMPOSSIBILE COLMARE IL DIGITAL DIVIDE: MANCA IL CAPITALE UMANO
Siamo in piena Emergenza Digitale. La settimana scorsa è stato pubblicato il DESI 2019. Sapete che il DESI è composto da 5 sottoindicatori e uno di questi è il capitale umano.
Nel capitale umano, ossia chi ha competenze ICT, l’Italia si posiziona al 26o posto su 28, dopo di noi solo Romania e Bulgaria.
L’indicatore ha 2 componenti: le abilità tipiche dell’utente di internet e le abilità avanzate e da sviluppatore. La prima componente è calcolata secondo il numero e la complessità delle operazioni che coinvolgono l’uso degli strumenti digitali e internet, la seconda componente include gli indicatori sull’impiego degli specialisti ICT e sui laureati.
In particolare, il numero di laureati nel settore ICT in Italia è il più basso in Europa con solo l’1% della popolazione laureata in queste discipline, mentre la media UE è al 3,5%. La Finlandia raggiunge addirittura il 7,1%.
L’insufficienza delle competenze digitali è una delle motivazioni che impedisce di avere l’accesso ad internet da casa. Le competenze digitali sono la chiave per combattere l’esclusione digitale.
Solo una donna su cento è specializzata in ICT.
“Per quanto concerne le competenze digitali, il Piano nazionale per la scuola digitale, lanciato nel 2015, ha prodotto fino ad ora risultati piuttosto modesti. Ad esempio, solo il 20% degli insegnanti ha effettuato corsi formativi in materia di alfabetizzazione digitale e nel 24% delle scuole mancano ancora corsi di programmazione. Nel quadro del piano Impresa 4.0, il governo ha destinato risorse per 700 posti di dottorato annuali in materie relative a Industria 4.0. Tuttavia, alla fine del 2017 (ultimo anno disponibile), solo 41 di questi corsi di dottorato erano attivi (su un totale di 815), con 400 posti complessivi disponibili”.
“La partecipazione dell’Italia alla EU Code Week (un’iniziativa dal basso volta a promuovere la programmazione e l’alfabetizzazione digitale) è stata la più alta nell’UE, con oltre 20.000 eventi nel 2018 e 750.000 partecipanti.
Eppure, i crediti d’imposta per le spese di formazione nelle materie di Industria 4.0, inizialmente presentati solo per il 2018, sono stati estesi anche per il 2019”, si legge ancora nel rapporto.
Le prospettive per queste qualifiche sono ottime. In Europa nel decennio 2007-2017 l’occupazione è cresciuta del 3,2%, ma nel settore ICT è cresciuta del 36%. Nel 2018 il 53% delle aziende che hanno tentato di assumere personale ICT ha riconosciuto di aver avuto difficoltà a trovare persone per ricoprire i posti vacanti. Si evince che questo tipo di specializzazione è ancora insufficiente, anzi il divario tra domanda e offerta si allarga.
L’Italia risulta anche all’ultimo posto in Europa nella percentuale di persone di età compresa tra i 16 e i 24 anni che usano abitualmente internet.
La Commissione Europea consiglia di “investire maggiori risorse nel Piano nazionale per la scuola digitale, soprattutto nell’istruzione primaria e secondaria, per affrontare la carenza di competenze digitali tra i giovani.”
“Per quanto concerne l’istruzione post-secondaria e terziaria – è precisato nel rapporto – l’efficacia di tali investimenti dipenderà anche dal successo del piano Impresa 4.0 nel creare la domanda necessaria di professionisti del settore TIC. Oltre al Piano nazionale per la scuola digitale, l’Italia non ha una strategia complessiva per le competenze digitali; questo significa che i gruppi a rischio di esclusione sociale, quali gli anziani e i disoccupati, corrono anche il rischio dell’ampliamento del divario digitale”.
Vorrei però allargare il ragionamento con uno sguardo oltre le TIC, includendo anche le STEM. Registriamo un deficit in entrambi i settori e questi sono a mio avviso tra loro correlati.
Attualmente produciamo 11.000 diplomati ITS all’anno, mentre, come ci ricorda ormai da anni Elio Catania, ne dovremmo produrre 33.000, il triplo per soddisfare le esigenze delle aziende che li richiedono.
Per quanto riguarda i laureati STEM l’Italia ne ha complessivamente una popolazione del 23% rispetto al totale dei laureati (in età lavorativa 24-65 anni), mentre la Germania ne ha il 36%. Ora questi dati mostrano 2 divari importanti. Ogni 100 studenti, che nell’anno della maturità superiore si iscrivono ad un corso di laurea, dobbiamo indirizzarne 13 in più verso le materie STEM, e contemporaneamente 13 in meno verso le materie non STEM.
La tipologia di studenti che sceglie gli indirizzi STEM proviene normalmente da licei scientifici (ma anche classici) e dagli ITS. Non possiamo dirottare tutti i diplomati ITS verso le lauree STEM, perché le imprese ci chiedono il triplo di diplomati ITS per il lavoro. Quindi l’orientamento deve essere correttamente spostato alla terza media. È questo il punto di svolta in cui orientare correttamente le scelte dei ragazzi. Le scelte per ITS devono triplicare o quadruplicare. Le scelte per licei scientifici devono raddoppiare e anche i classici possono crescere. Di conseguenza, purtroppo è una conseguenza perché il numero totale è fisso, devono diminuire le scelte per licei artistici, linguistici e socio-pedagogici. La lingua inglese deve essere assimilata come una competenza di base utilizzando tutti gli strumenti, anche extrascolastici, fin dalla più tenera età, compresa utilizzando la TV anche digitale.
Pertanto, aAnche il liceo linguistico deve diventare più specialistico. Per gli altri indirizzi è noto a tutti che producono una parte di disoccupati, pertanto una riduzione delle relative iscrizioni è del tutto logica ed auspicabile.
Qual è la problematica da affrontare nell’orientamento di un maggior numero di studenti verso gli ITS e i licei scientifici? Usualmente i ragazzi e le ragazze si sottostimano e si considerano incompetenti in matematica e pertanto inadeguati ad affrontare tali percorsi di studi. È una difficoltà comune in Italia che in tanti altri Paesi non si manifesta. È assolutamente urgente prevedere un piano di emergenza sull’apprendimento della matematica dalle scuole elementari alle medie con l’obiettivo che i tredicenni dicano “I love Maths!”