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LA CRUSCA BOCCIA I TERMOVALORIZZATORI

Le parole hanno un peso. Lo riafferma la massima autorità italiana della lingua: l’Accademia della Crusca.

L’istituzione rinascimentale, come bene ha ricordato Lucia Azzolina (Portavoce del M5S alla Camera), ha definito “inventato” un termine molto diffuso negli ultimi anni: termovalorizzatore.

Fa più trendy pronunciare la parola al posto di “inceneritore”. Da un lato l’aspetto termico richiama all’ingegneria e non alla cenere, dall’altro si valorizza il calore prodotto dalla combustione. In questo modo si spengono i riflettori sulle tematiche ambientali e lo stabilimento industriale insalubre di prima classe diventa magicamente più green.

Peccato che, come ricorda la Crusca, tali impianti “non eliminano il processo della combustione dei rifiuti, con tutte le conseguenze che questo comporta sul piano dell’impatto ambientale”. La stessa parola non compare a livello normativo, tanto che “nelle direttive europee sull’incenerimento dei rifiuti uscite tra il 1999 e il 2000 (la DE 1999/31/CE e la DE 2000/76/CE) si parla soltanto di inceneritori”.

Cos’è successo allora? Raffaella Setti nell’articolo pubblicato sulla rivista della Crusca pone il dubbio che “questo spostamento semantico venga anche appoggiato dall’intenzione, da parte di produttori degli impianti e di amministratori, di allontanare nell’opinione pubblica l’idea della pericolosità ambientale e sottolineare il richiamo al valore dell’energia prodotta”, rimarcando che non è questione di competenza linguistica.

È invece questione di attualità politica rimarcare che, cambiati i termini, la sostanza non cambia. I termovalorizzatori non sono altro che “impianti di incenerimento in cui i rifiuti vengono smaltiti mediante un processo di combustione ad alta temperatura che produce ceneri, polveri e gas come quelli preesistenti, con la differenza che il calore prodotto è recuperato e utilizzato per produrre vapore e quindi energia elettrica”. Purtroppo il recupero da combustione di una tonnellata di plastica che si ottiene è magro: un’energia pari a 6.957 Btu (unità termiche britanniche), mentre dal riciclo e dal recupero sarebbero disponibili 37.781 Btu, una quantità circa sei volte maggiore.

Gli esempi possono proseguire con la carta: 3.338 Btu dalla combustione, 11.343 Btu dal riciclo e dal recupero; con i tessuti: 3.130 Btu dalla combustione, 18.100 Btu dal riciclo e dal recupero; con la gomma: 6.351 Btu dalla combustione, 20.550 dal riciclo e dal recupero.

La convenienza scientifica determina vantaggi ambientali e anche economici. Se la raccolta differenziata fosse di qualità, e il materiale differenziato fosse utilizzato di nuovo, in Italia servirebbero appena 16 inceneritori per smaltire il solo rifiuto residuo e non i 41 attuali, attestati dal rapporto Ispra 2017, di cui otto nella sola Emilia Romagna.

Sì a scelte virtuose verso riduzione dei rifiuti e riuso e taglio degli inceneritori alias termovalorizzatori!