INTERVENTO IN SENATO SUL VOTO DI SCAMBIO POLITICO-MAFIOSO
Grazie Sig. Presidente! Colleghi!
Voglio iniziare il mio intervento parlando delle mafie al nord ed in particolar modo delle mafie nella mia regione che è l’Emilia Romagna.
A Reggio Emilia si sta svolgendo il più grande processo per mafia mai svolto al nord. Il processo Aemilia è iniziato, nel 2015, con 240 imputati, accusati di essere appartenenti e collusi a un unico clan della ‘ndrangheta. Lo scorso 16 ottobre si è svolta la 195esima e ultima udienza. Le sentenze definitive della Cassazione, ossia quelle del rito abbreviato che si è svolto a Bologna, arriveranno domani 24 ottobre, mentre le prime sentenze del rito ordinario, svoltosi a Reggio Emilia, arriveranno a novembre. 200 i capi di imputazione: si va dall’estorsione alle minacce, dall’usura all’intestazione fittizia dei beni, dal falso in bilancio alla turbativa d’asta, dalla detenzione illegale di armi all’emissione di fatture false, dal caporalato e sfruttamento di mano d’opera al riciclaggio, fino ad arrivare al reato più grave: l’associazione a delinquere di stampo mafioso.
Nell’inchiesta sono coinvolte forze di polizia, funzionari e dirigenti di pubbliche amministrazioni, giornalisti e liberi professionisti, un consigliere comunale, imprenditori, costruttori, consulenti fiscali. Ma al centro di tutto ci sono i capi e gli uomini della cosca di Nicolino Grande Aracri e di Nicola Sarcone, originari di Cutro in provincia di Crotone. Questa cosca di ‘ndrangheta non appartiene soltanto all’attualità calabrese, ma principalmente appartiene all’attualità della nostra vita al nord, infatti essa si è stabilmente insediata in Emilia da più di 25 anni. Per decenni gli amministratori locali emiliani hanno sottovalutato tale situazione. Già nel 2008 davanti agli allarmi lanciati dalle associazioni antimafia e da noi allora Meet Up Grilli Reggiani si giravano dall’altra parte e dicevano che ‘l’Emilia aveva gli anticorpi’. In realtà il cancro mafioso si era già insinuato nella nostra società attraverso la mafia dei colletti grigi, degli imprenditori e liberi professionisti emiliani doc che non avevano problemi a fare affari con uomini delle cosche. E’ finita con il Comune di Brescello sciolto per infiltrazioni mafiose. Come non dimenticare poi le non certo edificanti visite elettorali a Cutro dei candidati a sindaco di Reggio Emilia nel 2009 per le celebrazioni del patrono… visite criticate da associazioni e da procuratori antimafia. Ci andò l’allora sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, ci andò il candidato a sindaco di Forza Italia. Non ci andò, va dato atto, il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle.
I procuratori chiarirono fin da subito che non siamo più davanti ad una semplice infiltrazione di un clan della ‘ndrangheta al Nord, ma con il suo ra-di-ca-men-to. E non solo in Emilia, dato che le attività si svolgevano anche in altre regioni, come Veneto e Lombardia.
Agli imputati nel processo Aemilia è contestato il 416 bis, cioè l’appartenenza ad una associazione mafiosa.
Tra gli indagati non ci sono solamente i presunti affiliati al clan, ma anche tutte quelle persone apparentemente normali che a quel clan si sono rivolte: -per evadere le tasse, -per aumentare i profitti, per fare la bella vita -per avere immediatamente a disposizione dei contanti e -per aggiudicarsi gli appalti. Il giro di affari aveva a che fare principalmente con il settore dell’edilizia, e una parte consistente dell’inchiesta riguarda gli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto del 2012 tra Reggio e Modena. Sotto accusa non soltanto imprenditori (alcuni dei quali ridono per la tragedia), ma anche colletti bianchi, accusati di non aver escluso aziende dalle White List.
Gli inquirenti sostengono anche di aver documentato attività di sostegno e tentativi di influenzare alcune elezioni amministrative in diversi Comuni, con l’obiettivo di avere maggior controllo e influenza sulle istituzioni. Dopo le elezioni comunali del 2014 di Reggio Emilia c’è stata una condanna per brogli elettorali sulla base di una denuncia di una nostra consigliera comunale, Alessandra Guatteri.
Nel mega processo Aemilia non c’è il reato di voto di scambio politico-mafioso, forse proprio perché la fattispecie non si descrive puntualmente come nella formulazione che oggi si propone nel disegno di legge in esame, ossia la “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”.
Il voto di scambio politico mafioso è un drammatico fenomeno che determina conseguenze molto negative sul nostro sistema Paese. Innanzitutto, comporta una perdita di fiducia dei cittadini verso le istituzioni; secondo, dà un enorme potere alle mafie, perché le concede visibilità e le riconosce ‘potenti’; infine, rende ricattabili tutti, non solo l’uomo politico corrotto ma anche il partito o l’istituzione da lui rappresentata.
Quando le organizzazioni mafiose riescono a condizionare il consenso, la vita democratica del nostro paese viene distorta. Si pensi al fenomeno dell’astensionismo: le massicce astensioni odierne consentono infatti il successo di talune elezioni con un numero “minimo” di voti o con un “secondo turno” stabilito dalla legge elettorale. In queste situazioni i voti mobilitati dai mafiosi possono diventare preziosissimi, e determinanti per ottenere la vittoria elettorale. Ogni persona che non vota è un voto che conta doppio per corrotti e mafiosi.
Le cronache continuano a riportare fenomeni di pesante inquinamento a livello locale al Sud e al Nord dove le mafie hanno da tempo radicato gran parte dei loro affari. Affari sempre più prosperosi. È questa l’accusa che sta facendo emergere con forza il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, secondo cui quanto emerso dall’Operazione Aemilia è appena “la punta dell’iceberg”. Per De Raho la mafia fattasi imprenditrice, spara di meno, ma corrompe di più. E sottolinea: “La nostra zavorra sono mafia e corruzione, quest’ultima dilaga. Ma quando ci sono corruzione e mafia, l’economia va a fondo”.
Questo perchè con i loro capitali immensi e sanguinanti, provenienti da droga, prostituzione, tratta, traffico di essere umani, riduzione in schiavitù, traffico di armi, azzardo, azzerano l’economia legale, inquinano il mercato, distorcono il sistema dei prezzi, eludono le tasse con le false fatturazioni. L’economia basata sulla legalità non riesce più a competere ed è destinata a fallire. Tutta l’economia va verso una deriva illegale, con l’appoggio di una politica compiacente.
Per questo è necessario avere leggi penali in grado di punire chi commette questo orrendo crimine da entrambe le parti, chi offre e chi accetta lo scambio. La riforma del 416 ter, oggi in esame, è solo l’ultima delle modifiche normative fatte al codice penale con lo scopo di giungere all’obiettivo di ridurre il più possibile le interpretazioni giurisprudenziali.
In particolare, con questo intervento si elimina il riferimento al metodo dell’intimidazione mafiosa. Ciò rende irrilevante il metodo attraverso il quale ci si impegna a procurare i voti oggetto dell’accordo politico-mafioso, anche sulla base della ovvia considerazione che la possibilità di provare l’utilizzo del metodo mafioso, a volte, è estremamente difficile.
Per altro, il metodo mafioso, come detto, non è fatto soltanto di violenza o di minacce. A certi sodalizi criminali è sempre convenuto diffondere nella popolazione l’idea che chiedendo il loro aiuto si potevano raggiungere gli uomini di partito e gli uffici pubblici che erano nelle loro agende di contatti. Infine, come esponente di un Movimento politico che ha sempre premiato l’onestà, voglio sottolineare come non sia compito solo delle norme quello di far rispettare il buon andamento delle votazioni e la legalità. Non bastano le condanne o i reati commessi e giudicati come tali: ci sono i fatti, gli episodi che NON costituiscono di per sé illecito, ma che evidenziano una connessione, mentre dovrebbe essere rimarcata la distanza. Tali fatti, tali “contiguità” devono essere esaminati dai partiti stessi e condannati politicamente.
Diceva Borsellino: “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non l’ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento di carattere giudiziale. […] Tu non ne conosci gente che è disonesta ma non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla?, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe quanto meno indurre, soprattutto i partiti politici, a fare grossa pulizia?”
D’accordo con le parole di Borsellino, penso che il grande compito dei partiti e movimenti politici sia quello di fare una operazione di chiarezza e trasparenza. La buona politica non ha bisogno di appoggi di lobby economiche. Tantomeno di quelle non trasparenti e non soprattutto di quelle del cancro delle cosche di tutte le mafie.
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